Pezzo breve, perché su questa cosa bisogna essere tranchant come un colpo di mannaia.
Le Regionali 2015 hanno portato una scontata epifania perfino nelle botteghe Dem: forse forse, anche l’elettorato di centrosinistra nel suo piccolo s’incazza. Sconfitte pesantissime, vittorie risicate, ballottaggi oggi sul filo, impossibile non accorgersene.
Io lo dico, inascoltato, dal 2009.
L’ho definita la Legge di Prato e fra poco vi spiego perché.
Iniziamo col dire una cosa: magari alla fine il bilancio del PD alle Amministrative sarà ancora favorevole, ma questo accadrà, ce lo dice lo scenario, soprattutto in virtù delle insanabili divisioni dell’altra parte politica. Che a questa tornata si ripresenta spesso agli elettori divisa come al primo turno. Non fosse così, a ‘sto giro sarebbero botte da orbi.
Cos’ha scoperto il centrosinistra post-Regionali?
1) che è ora di piantarla di confondere concetti come “base” ed “elettorato” o, meglio, di sovrapporli. In 11 anni di campagne elettorali e di ballottaggi ho ascoltato troppe volte nei comitati Dem una frase che minimo minimo porta una seccia pazzesca: “I nostri (?!!, ndr) non ci tradiranno” / “Vedrai che i nostri tornano a votare“. Chi vota o ha votato il centrosinistra non è tutta “base”, non sono tutti “nostri”: è anche gente normale che si forma o non si forma un’opinione e che agisce di conseguenza. Per esempio, standosene a casina.
2) che gli smutandati della gita al mare stanno solo nel centrodestra. Che, durante una bella giornata di sole, quell’elettorato non ce la fa proprio e deve assolutamente fare una gita fuori porta che duri almeno dalle 7 alle 23 della domenica di voto. E questa, in soldoni, è Legge di Prato.
La Legge di Prato l’ho formulata nel 2009 nell’omonima città toscana. Per GM&P, seguivo all’epoca la campagna elettorale di Roberto Cenni, candidato del centrodestra, che correva contro Massimo Carlesi, espressione del centrosinistra riunito. Lo stesso centrosinistra, che con diverse variazioni di rosso, governava la città da ben 63 anni.
Dopo allora non sono più ritornato a occuparmi di politica a Prato (né vi ho messo piede per le passate Amministrative), ma ricordo perfettamente una cosa: la grandissima pernacchia che l’elettorato PD, e non la base, fece a Carlesi tra primo e secondo turno. Lui perse ben 5.011 voti, Cenni solo 997. Chi si era fatto una gita al mare, per ben due giorni, nel weekend del 6 e 7 giugno 2009?
Senza andare troppo per il sottile, il mix che portò a quel risultato si compone principalmente di tre fattori, as clear as a glass of moonshine:
1) Primarie che hanno generato la (consueta) sensazione di tradimento ideologico di una parte. Le aveva vinte il Carlesi (6.487, ex-DC/PPI/etc) sull’Abati (4.969, ex-DS), di qui la demotivazione di una fetta della base (appunto) a lavorare per il convincimento dell’elettorato (appunto).
2) una strategia che separava la comunicazione del candidato di centrodestra da quella dei partiti del centrodestra: a lui la carezza, a loro la clava. Con mezzi diversi, linguaggi diversi, per convincere pubblici diversi e far vincere una coalizione che arrivava fino a La Destra nella città più rossa della Toscana. La comunicazione del candidato faceva la differenza, anche e soprattutto nel lasciare il centrosinistra a casa. E qui uno spin doctor conta, ragazzi.
3) un disamoramento strisciante politico e di policy, che molto ricorda Perugia 2014. Un’insoddisfazione da convogliare in un progetto di cambiamento credibile, per massimizzare il risultato di centrodestra, e da confermare con parole gentili (il candidato), per indurre l’astensionismo del centrosinistra.
Che questo non potesse succedere solo a Prato nel 2009, e che non potesse succedere solo alle Amministrative, e che non potesse succedere solo al ballottaggio, lo si poteva francamente prevedere già 6 anni. Altroché epifania della domenica al mare.