Non ho badato granché alla campagna elettorale di Venezia. Stavo fortunatamente in Campania a lavorare per un candidato ben diverso dall’ex-magistrato. E mi è andata decisamente meglio, grazie a dio (qui la storia della corsa di Vincenzo De Luca presidente).
Fortunatamente perché nulla mi toglie dalla testa che il povero Casson sia stato sempre l’uomo sbagliato, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, con la campagna sbagliata.
Con ciò, nulla voglio togliere alla persona Casson, ma sicuramente approdo a una conclusione dolente: non sempre le Primarie conducono al miglior candidato possibile rispetto al contesto. E il voto del ballottaggio fotografa esattamente ciò: Casson era perfetto per il centrosinistra, sbagliatissimo per Venezia 2015. Se poi parliamo della strategia, allora si finisce dalla padella alla brace.
Senza disturbarci in una retrospettiva sulle consultazioni PD, vediamo quali sono i limiti strutturali (e non) che hanno stirato l’infelice Felice come una piadina romagnola.
1. IL CANDIDATO DELLA DISCONTINUITA’ RELATIVA
Casson succede al vituperato Orsoni. Ci tiene così tanto a sottolineare che lui non sarà come il suo predecessore, che sviluppa una campagna rosso vermiglio nella quale uno dei messaggi è che i Veneziani si meritano una Venezia migliore (di quella di Orsoni, è sottinteso).
Il risultato si ritrova nel voto del ballottaggio: Casson ha convinto così tanto e così bene i suoi che infatti si riporta fedelmente al voto tutto il centrosinistra disponibile.
Solo quello disponibile, però: perché al secondo turno Casson richiama i 46.000 del primo turno più un migliaio di elettori delle liste di sinistra, conseguendo un successo neanche paragonabile a quello di Orsoni 2010. Che alle urne ne portò 75.000 e rotti, tra i quali anche tanto pubblico d’opinione liberale. Quelli che Felice non vede neanche con il binocolo.
A proposito dell’elettorato di centrosinistra, confuso troppo spesso con la base e capace invece di starsene a casa il giorno del voto, ho scritto proprio qualche giorno fa.
2. IL CANDIDATO DELLA CONTINUITA’ ASSOLUTA
Insomma, Casson non è certo un homo novus. Ha già corso per diventare sindaco nel 2005 ed è stato pure sconfitto da Massimo Cacciari. Purtroppo per lui, può facilmente essere rappresentato come una reliquia vecchia 10 anni e come il degno rappresentante di un centrosinistra litigioso e capace, al pari del peggior centrodestra, di spaccarsi e correre con due candidati diversi per la stessa sedia.
3. IL MAGISTRATO+POLITICO CONTRO L’IMPRENDITORE
Venezia sarà pure diversa, ma la naturale tensione del Veneto, come di gran parte dell’Italia, verso il centrodestra non può essere sempre e costantemente ignorata. La battaglia di Casson contro Brugnaro è ai confini dell’allegoria nella regione che fu di Galan e oggi è di Zaia. Produttiva, irrequieta, autocratica.
Casson è addirittura riuscito a praticare il cursus honorum inverso: da magistrato, categoria di per sé polarizzante, a parlamentare e cioè politico. Kasta. E allora altroché insidiare il gentismo pentastallato sotto voto, sperando di acchiappare qualche grillino smarrito.
4. L’UOMO DI SINISTRA NELL’ANNO DI SUPER ZAIA
E poi c’è la sfiga, tutto sommato. Perché essere un candidato sindaco civatiano nel periodo nel quale Zaia si fuma la Moretti 50 a 22 significa avere tutto l’affetto del centrosinistra ancora disponibile, ma pure prendersi una scoppola micidiale contro l’effetto bandwagon suscitato dal risultato del Governatore.
E infatti il centrodestra del primo turno, già maggioranza nella divisione, si ripresenta praticamente tutto alla corte di Brugnaro, al netto della normale dispersione legata alla tripla candidatura Brugnaro-Zaccariotto-Bellati.
COSA CI SI PORTA A CASA DA VENEZIA 2015?
La prima lezione da imparare da questo risultato è che bisogna diffidare dalle Primarie: il candidato in pectore può facilmente NON essere lo sfidante migliore.
La seconda? Che non si può dedicare una campagna intera a riallacciare i rapporti con il proprio elettorato. Fatti salvi alcuni, ormai rari, contesti nei quali il voto di appartenenza equivale alla vittoria, la campagna elettorale è fatta per lavorare prevalentemente sugli indecisi, non su quelli che dovrebbero già votarti. E questo è un discorso che coinvolge (e travolge) in pieno le segreterie di partito e i consiglieri, che, nel periodo regolare, non lavorano abbastanza alla raccolta di dati e informazioni (ne ho scritto ampiamente qui) utili alla relazione con l’elettorato e che quindi si presentano in campagna con tutto il lavoro ancora da fare. Sul collo del candidato di turno.