Ognuno ha interpretato il voto 2015 per servire i propri comodi.
Un eccitato centrodestra parla di un grande ritorno, mentre il malinconico centrosinistra tira fuori la serie storica del voto per dimostrare di essere ancora avanti nel numero di comuni amministrati.
Ambo le parti dicono il vero, ma ambo le parti decidono anche di non osservare quegli stessi risultati una volta privati del bias di fazione.
 

CENTRODESTRA E CENTROSINISTRA: PERDONO ENTRAMBI, VINCONO ENTRAMBI
Quello che emerge infatti dal voto nei comuni superiori a 15.000 abitanti è che i “ribaltoni” (come orribilmente definiti dalla stampa) si dividono abbastanza equamente: nel 32% circa delle elezioni c’è stato uno spostamento verso destra, nel 32% uno spostamento verso sinistra. La restante parte riferisce di casi nei quali
1) c’è stata una riconferma della maggioranza uscente
2) delle vittorie del Movimento 5 Stelle e di civiche di difficile collocazione. 
Parlo di spostamento perché non sempre si passa da aree politiche codificate al loro opposto (swinging), ma anche di slittamenti (sliding) mediati o scaturiti magari da liste di centro e da civiche valoriali.

Lo dico subito e senza vergogna: dopo 10 minuti di spulciamento delle Amministrative in Trentino Alto Adige, ho mollato il colpo. Tra partiti localisti e civiche, c’era da diventare scemi. Se volete divertirvi un po’, qui trovate l’elenco di tutti i comuni al voto.

La rilevanza non sta nel predominio dell’una o dell’altra parte, un fenomeno casomai regionale, non certo nazionale, bensì nel fatto che in 7 elezioni su 10 è avvenuto un cambio politico.
Ribaltoni e slittamenti costituiscono infatti oltre il 73% dei risultati. La restante parte è abbastanza equamente divisa fra le due grandi famiglie politiche, con un leggerissimo vantaggio del centrodestra nella difesa delle posizioni acquisite.
 
LA PAR CONDICIO DEL MALCONTENTO
Chi amministra non lo sa, ma è già in serissimi guai. C’è da cacarsi sotto a stare in maggioranza di questi tempi.
Fra l’altro, proprio sul Giorno di ieri l’amico e presidente di Public, Marco Cacciotto, parlava di una par condicio del malcontento.

La par condicio del malcontento

La par condicio del malcontento

A mia volta, tempo fa ricostruivo in quest’ottica i risultati 2014. Allora invitavo i partiti a iniziare, e di corsa, la raccolta di qualunque forma di contatto con il voto di appartenenza. Perché? Per avviare in anticipo il lavoro di costruzione della propria comunità elettorale e non dover così consumare la gran parte della campagna per riportare i “nostri” alle urne.
Assegnare un tempo troppo limitato al convincimento degli indecisi non è infatti soltanto una distorsione di un principio democratico, ma significa anche assecondare quella generica voglia di cambiamento. Una voglia che si sublima poi nella schizofrenia elettorale che solo nel 2015 ha colpito più di 7 elezioni su 10.

Diceva Matt Reese, spin doctor tra i grandi padri nobili della professione: “I wish God gave green noses to undecided voters, because between now and election eve, I’d work only the green noses. I wish God gave purple ears to nonvoters for my candidate on election eve, because on election day I’d work only the purple voters.”

Capite cosa sostiene quest’uomo? Che, in teoria, i “tuoi” devi averli già con te all’avvio della campagna e che devi concentrarti prima sugli indecisi, poi su chi non ti vota. Possiamo sicuramente pensare che dai tempi del defunto Reese lo scenario si sia evoluto, ma rimane un fatto: che in queste ultime tornate candidati e coalizioni sono sempre in ritardo di un passaggio. Senza un professionista a seguire la campagna, al massimo ci si ferma, gli ultimi giorni, ai “nasi verdi” di Reese. Forse. E proprio non puoi permetterti, come ha fatto Felice Casson a Venezia, di improntare una campagna sull’ansia di tenerti stretta la base. Te li riporti tutti al ballottaggio, ma ti prendi anche una gran mazzata.
E questa mia considerazione finisce dritta dritta nella casella postale dei segretari e coordinatori di partito, assieme a un invito: su, diamoci una mossa se non vogliamo sbattere via 5 anni di lavoro durissimo e ingrato del vostro sindaco.

In ossequio al mio carattere gentile, dedico il pezzo a un poveretto che nel 2014 decise di vantarsi di quei due paciughi elettorali che aveva fatto in vita sua, ammonendo un intero gruppo di lavoro con queste parole: “Oh, ragassi, con questa campagna ci abbiamo battuto un sindaco uscente“.
Bravo, pistola, hai proprio capito tutto.

Ah, dimenticavo, qui una breve ricostruzione dei successi del grande Matt Reese